
Dimentichi di queste premesse, Battiato e Sgalambro, su musica di Piovani, hanno cucito addosso a Celentano un vestito sformato, che lo rende inattuale e poco incisivo già prima della prima uscita in pubblico.
Il testo di “Facciamo finta che sia vero” vuole dare un colpo alla profondità di Gaber, rimanendo però all’asciutto (diciamo che l'intento si blocca al "Facciamo finta..."), e uno al Battiato di “Povera Patria”, che può essere canticchiata e rimane perché è fin troppo semplice da intonare in coro.
Con questa canzone Celentano non fa altro che ripetere quello che al bar sentiamo tutti i giorni (magari i signori del bar dicono sacrosante verità ma non mi serve ascoltare con attenzione una canzone, come ci ha detto Giletti domenica), e come i giocatori di scopa al Bar dello Sport piangere sul tempo passato, indicando un paradiso ormai lontano che ha stancato anche i vintagisti: gli anni ’60.
E per darci una scossa, nessuna parafrasi o frasi di circostanza, un bello “Svegliamoci”, gridato sottovoce perché tanto non è indirizzato a nessuno.
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