domenica 25 marzo 2012

Intervista a Diego Mancino - Aspettando È necessario

Diego Mancino è un’artista senza limiti. Intervistarlo è stato appassionante. Il 3 aprile uscirà il suo nuovo album. Il titolo è “È necessario”. Leggete l’intervista per capirne il senso.

Diego, inizierei con una domanda secca. Ad oggi crei più facilmente per te o per gli altri interpreti?
Non fa nessuna differenza per me. Scrivo per passione e soprattutto mi diverte molto costruire canzoni. Lo scrivere per me è un momento di gioco e liberazione. Scrivo anche cantando e faccio fluire tutto me stesso all’interno del brano. Si cantano quelle rime scritte come se fossero la tua stessa bandiera, la tua verità incrollabile. L’unica cosa sicura è che le canzoni che scrivo sono quelle che mi fanno dannare per giorni interi, alle quali poi mi affeziono.

Hai una particolarità autoriale molto specifica. Quello che crei per un interprete è sempre molto diverso da quello che realizzi per te o per un altro. Come spieghi questa tua capacità adattiva e camaleontica?
Non credo sia vero. Le mie canzoni per altri sono tipicamente mie. Bisogna poi tenere presente che io scrivo le canzoni ma poi ci sono i produttori e loro usano la sega elettrica.

Ho un’idea su molte delle tue canzoni. Più che ispirarti al cantautorato o alla poesia, ti ispiri all’arte. Un esempio che mi viene in mente è la ricerca dell’universale amoroso che c’è dietro “Tutte le distanze”, riscontrabile ad esempio in alcuni quadri di Matisse (infatti ad un certo punto scrivi, riecheggiando “La Danza”: misurerò l'abbraccio / che tutti ci contiene / e contiene l'universo). Può essere giusta questa idea?
Sono felice di queste considerazioni. L’arte mi ispira e anche la vita degli artisti. Opere in movimento, ecco quello che hanno creato molti artisti. Cercando linguaggi e visioni, a volte divento totalmente servo di questo impulso, cercando di essere un’antenna, ricevo segnali e li ritrasmetto.
Mi piace la poesia, è per me una lingua che capisco e mi fa sentire meno solo. Invece i quadri mi isolano, mi fanno sentire disarmato, per questo li amo e li temo. Per fortuna da tutta l’arte traiamo nutrimento. Nel mio ultimo disco ad esempio sono stati i quadri di Daniel Egneus ad aprire milioni di finestre nel mio quaderno.

Una tua scelta stilistica precisa si riferisce alla descrizione dei grandi moti dell’animo attraverso flash molto tangibili, direi”fisici”. Un esempio potrebbero essere le parole: “L’amore è un sasso”. Quello che cerchi nelle tue canzoni e far vedere il sentimento?
Rendere fisiche le cose immateriali è un mio modo di scrivere, dare corpo ai sentimenti è un modo per ricreare un mondo immaginario. Questo è quello che fanno le canzoni, dichiarando un’identità, una nazione immaginaria, ci emancipano dall’oltraggio di un futuro migliore, per rivendicare il dominio sull’oggi soltanto. Siccome le parole possono diventare palazzi immateriali, li puoi abitare ma non puoi bombardarli. Allora vale la pena di provare a costruire città immaginarie.

Una canzone a cui bisognerebbe legare l’aggettivo/concetto di postmoderno è “Strana l’estate”, in cui metti insieme immagini tradizionali della canzone d’amore estiva, citazioni, slang e nuovi modelli, collegando tutto con un filo rosso che riesce a dare un sensazione di novità. Che ne pensi di questa canzone?
La ricordo con molta tenerezza perché rievoca ricordi che adesso mi sembrano lontanissimi. Io sono molto cambiato. Postmoderno è anche il mio ultimo disco, perché sono partito proprio da canzoni come Strana l’estate.

Per Renga, in occasione di Sanremo 2012, hai co-partecipato alla creazione di un’aria contemporanea, piena di pathos e altezze. Cosa ne pensi di questa canzone?
È una canzone bellissima, che mi ha dato la possibilità di lavorare con nuovi musicisti e compositori, come Dario Faini, col quale per Francesco abbiamo scritto anche “Senza sorridere” e altre canzoni. Lo stesso Francesco Renga è un ottimo cantante col quale non avevo mai lavorato. Ti confesso che quando sono a casa ascolto la versione cantata da me. Un giorno, senza dirglielo, gli faccio un agguato. Salgo sul palco e la canto.

Per finire, nel tuo prossimo futuro cosa vedi? Un impegno più intenso sulla tua parabola artistica o la messa a frutto della tua capacità di modellare perfettamente per gli altri?
Non vedo separazione. Io non sono diverso quando scrivo per gli altri o per me, è tutto parte della mia stessa urgenza espressiva, è il mio posto nel mondo, non ne conosco altri. La mia curiosità mi spinge a confrontarmi molto volentieri con chi è diverso da me. Io voglio imparare da chi più bravo e siccome mi sembra che tutti lo siano, ho una curiosità infinita e infinite strade da percorrere. Ad ogni modo, se diventerà noioso e patetico, ho dato mandato ad una persona di sopprimermi.

Nessun commento:

Posta un commento